Secondo me

QUEL CHE RESTA DEL FASCISMO

Cosa fu il fascismo? È necessario (per me stesso) riassumere alcuni punti fermi per chiarire i termini del discorso che, in occasione del 25 Aprile, riprende tra il Popolo italiano.

Quel che noi chiamiamo “fascismo”, cercando di applicare la definizione a tante situazioni diverse, fu un fenomeno storicoculturale politico che va suddiviso in alcune sue componenti decisive, distinguibili per causefasi di sviluppo ed esiti.

La prima componente fu quella nazionalista. Il nazionalismo fascista emerse come tendenza politica nell’interventismo nella prima guerra mondiale, e fu il movimento culturale e politico che costrinse, sotto la regia del governo Salandra, il parlamento e il Paese a scendere in campo insieme all’Occidente contro Germania, Austria e Impero ottomano. Mussolini ruppe coi socialisti, dovendo abbandonare la direzione de “L’Avanti”, proprio sul punto.


In ciò gli interventisti (o “radiosomaggisti”, dal “maggio radioso” durante il quale si verificò l’intervento in guerra dell’Italia) furono i continuatori della tradizione risorgimentale italiana, per condurre “la quarta guerra d’indipendenza”, e per completare così la liberazione delle “terre irredente” del Triveneto. Ma sottostante a quella tradizione risorgimentale, tramandataci come retaggio democratico, liberale e radicale, vi è la più forte e costante ideologia italiana, quella militarista ed espansionista dei Savoia. Il microscopico dominio alpino di Umberto Biancamano, fondatore di Casa Savoia, era divenuto infatti, alla fine del diciannovesimo secolo, e perseguendo tale scopo per ben mille anni, lo stato-nazione Italia.
Il militarismo espansionista però non abbandonò la coscienza delle classi dirigenti, divenendo la costante irrinunciabile della politica dello Stato, e poté produrre ancora tutto il disegno romano e mediterraneo, imperiale e di “marcia all’oceano”, del governo di Sua Maestà guidato dal duca e duce Mussolini. Quindi le aggressioni di Etiopia, Spagna, Albania, Grecia e poi la guerra di aggressione continentale con Hitler.

La componente nazionalista, espansionista e militarista di origine sabauda marcò il fascismosaldando la sua sorte a quella della monarchia, e facendo di esso il più efficace (seppur effimero) strumento della profezia di Umberto Biancamano. Il postfascismo nel secondo dopoguerra, dal 1946 in poi, dovette fare i conti con la prima vera battuta d’arresto dell’espansionismo sabaudo dopo mille anni, e della sostanziale perdita di sovranità internazionale del soggetto statuale, “costretto”, dal 1949 in poi, nei limiti operativi e politici imposti dall’adesione alla NATO. In tale processo di valutazione della sconfitta militare e della conseguente perdita di agibilità nei contesti internazionali, la classe politica postfascista, nazionalista e monarchica italiana costruì una posizione di diffidente ostilità verso l’Occidente e in particolare verso gli Stati Uniti, risoltasi solo oggi, con la lettera di Giorgia Meloni pubblicata dal “Corriere della Sera”, ove si afferma l’indissolubilità logica e politica tra missione internazionale dell’Italia per la democrazia e la pace e attiva cooperazione transatlantica, a beneficio in questo caso “dell’Ucraina invasa dai Russi”.


Sono ormai accantonati gli slogan che si leggevano sui muri negli anni ottanta: “Né Lenin né Coca-Cola! Europa Nazione!”; eppure il nazionalismo, o sovranismoresta la profonda nostalgia della cultura italiana, che alcuni identificano come autentica e distintiva caratteristica del fascismo, ma che in realtà il fascismo precede ed in un certo senso del fascismo si è servito. Il sovranismo infatti ha potuto coinvolgere esperienze culturali ed organizzazioni politiche estranee al fascismo, anche genuinamente o ingenuamente democratiche, che però si fanno portatrici di un’istanza profonda, un radicato topos culturale, che motiva il Popolo italiano in sempre nuove avventure, oltre e al di fuori del disegno più coerentemente “nazionalista”, cioè quello dell’unità politica e statuale della “nazione italiana”.

La seconda componente del fascismo è quella corporativista. Dagli studi di Santi Romano; dalle più antiche strutture sociali ed economiche della civiltà dei Comuni; dall’individualismo familista e amorale dell’Italia profonda, il fascismo si fece carico di formulare una dottrina che fosse supporto e collante per una società composita e centrifuga, che con la sua tendenza al particolarismo ed al municipalismo creava ostacoli alla regia centralista e dirigista imposta dall’espansionismo militarista sabaudo.


La naturale dialettica tra le classi, tra i territori, tra le formazioni sociali, persino la stessa concorrenza commerciale ed industriale, per non parlare dei sindacati dei lavoratori, furono percepiti dal fascismo come fattori di rallentamento e disgregazione, e per questo forzatamente ricondotte ad una unità artificiale, culminata, in sede istituzionale, nella sempre unanime Camera dei fasci e delle corporazioni, simulacro della confluenza di ogni fenomeno politico-sociale in un unico contenitore.

Uno dei metodi utilizzati per sottomettere la vita libera della società al disegno espansionista e militarista, fu quindi lo squadrismo. Terza componente fondativa del fascismo fu dunque quella squadrista. Lo squadrismo svolse la funzione aggregante delle componenti sociali attraverso la violenza, che rivolse all’esterno del fascismo via via verso i naturali antagonisti, come i socialisti, i popolari e i liberali, e anche all’interno, inquadrando le squadre in quella milizia volontaria nazionale che di volontario perse presto ogni carattere per sottomettere le giovani generazioni al metodo centralista servo del disegno espansionista e militarista. Le squadre furono polizia sociale contro i sindacati e le cooperative; polizia politica contro le opposizioni; polizia del regime contro gli stessi fascisti dissenzienti ed infine carne da macello nelle guerre che proseguirono, in un delirante crescendo, il disegno dell’espansionismo territoriale militarista ed imperiale.

Ulteriore aspetto distintivo ed essenziale del fascismo è quello di una politica razzista, quarta componente. Seppure Mussolini si fosse sempre e lungamente, prima e dopo la presa del potere, dichiarato contro ogni forma di discriminazione – soprattutto contro gli Ebrei – l’adesione del fascismo a politiche razziste fu inevitabile corollario dell’ideologia dell’espansionismo militarista. La coscienza nazionale, indispensabile fattore di unità del continuo ed incessante sforzo bellico volto all’unificazione dell’Italia, non poteva che poggiare sull’auto-identificazione degli italiani tra loroattraverso un processo di esclusione dei gruppi linguisticiculturali ed etnici estranei al processo politico in atto.


L’unità politica, la coesione sociale e la granitica compattezza militare dello Stato, sarebbero state più facilmente ottenute e garantite da un comune senso di appartenenza alla realtà biologica della “razza”. La paura del “diverso”, facilmente identificato col “nemico”, sarebbe stata la motivazione ideale per scagliare le masse in avventure militari e facilitare una gestione autoritaria della società e dell’economia, indispensabile a sostenere il continuo sforzo bellico e la sua preparazione.

Le quattro componenti (ce ne sono sicuramente altre; ma non è questo un saggio con pretese scientifiche) ci aiutano a leggere il fascismo come fase coerente della storia italiana, e non come “parentesi”. Ci aiutano altresì a riconoscere i tratti di continuità col fascismo presenti nella destra italiana, ma più in generale nella cultura politica e nella realtà sociale del nostro Paese, a livello profondo.

Buon 25 Aprile.

Fonte: AlterThink (https://alterthink.it/quel-che-resta-del-fascismo/?fbclid=IwAR2yuV7M119Uls3LWd9eThIfXIyRY5lz4288wpDbMKRk0qKyE7rXXTD5HZM)

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